SERVIZIO PARTE CINQUANTANOVESIMA
Continua dalla parte cinquantottesima.
Lo Spazio.
L’universo rivela se stesso in due proprietà fondamentali: come movimento e come ciò in cui occupa il movimento, cioè lo spazio. Questo spazio, chiamato akasha, è ciò attraverso cui le cose assumono apparenza visibile, cioè vengono a possedere estensione e corporeità; comprende tutte le possibilità di movimento, non solo fisico ma anche spirituale e dimensioni infinite. Sul piano dell’attività spirituale è chiamato “lo spazio o la dimensione della coscienza” e porta fino a un elevato stadio dell’esperienza spirituale, in cui la dualità del soggetto e dell’oggetto è eliminata.
Akasha prende anche il significato di “etere”, concepito come il mezzo del movimento. Il principio del movimento, tuttavia, è prana, il respiro della vita, l’onnipotente e onnipresente ritmo dell’universo in cui le creazioni e le distruzioni si sussegue come l’ispirazione e l’espirazione del corpo umano, e in cui il corso dei soli e dei pianeti ha lo stesso ruolo della circolazione del sangue e delle correnti di energia psichica nell’organismo umano. Tutte le forze dell’universo, come quelle della mente umana, dalla suprema coscienza alle profondità del subconscio, sono modificazioni del prana.
Akasha e prana non possono essere separate perché si condizionano reciprocamente come “sopra” e “sotto”, o “destro” e “sinistro” nella sfera dell’esperienza pratica è possibile osservare e distinguere la preponderanza dell’uno o dell’altro principio. I quattro grandi elementi o stati di aggregazione, cioè il solido (terra), il liquido (acqua) l’incandescente o bollente (fuoco) e gassoso (aria) sono considerati come modificazioni dell’akasha, lo spazio-etere.
Nel momento in cui un essere diventa consapevole della propria coscienza, acquista anche quella dello spazio, si rende anche conto dell’infinità della coscienza. Perciò si può dire che l’esperienza dello spazio è un criterio di attività spirituale e di una forma superiore di consapevolezza. Il modo in cui noi sperimentiamo lo spazio o in cui ne siamo consapevoli, è caratteristico della dimensione della nostra coscienza. Lo spazio tridimensionale che noi percepiamo attraverso il nostro corpo e i suoi sensi, è soltanto una delle molte possibili dimensioni.
Il Tempo.
L’infinito non si può concepire, “dipingere” mentalmente o oggettivare, si può solo sperimentare. Solo quando l’uomo è penetrato in questa esperienza e l’ha mentalmente digerita e assimilata, possiamo parlare della scoperta del tempo come una nuova dimensione della coscienza.
Negli stadi più avanzati di meditazione, si entra in una dimensione, nella quale ciò che sentiamo come tempo si sperimenta non semplicemente come una proprietà negativa della nostra fugace esistenza, ma come l’aspetto dinamico sempre presente dell’universo e la natura intrinseca della vita e dello spirito, che è di là dell’essere e del non-essere, di là dell’origine e della distruzione. È il respiro vitale della realtà - non del senso di astrazione - ma come realtà di tutti i livelli di esperienza – che si rivelino nei giganteschi movimenti dell’universo così come nelle emozioni del cuore umano e nelle estasi spirituali. Si rivela nella danza cosmica dei corpi celesti come nella danza dei protoni e degli elettroni, nell’”armonia delle sfere” come nel “suono interiore” di tutte le cose viventi, nel respiro del nostro corpo come nei movimenti della mente e nel ritmo della vita. Non dimentichiamo però che tempo e spazio sono aspetti inseparabili dalla realtà.
Sia lo spazio sia il tempo sono due aspetti della qualità più fondamentale della vita: il movimento. Dobbiamo distinguere fra tempo matematico, siderale, solare, locale, fisico, fisiologico, psicologico e così via. E gli ultimi due sono così diversi in ogni individuo come il tempo locale è diverso da luogo a luogo. La natura del tempo varia secondo gli oggetti considerati dalla mente. Il tempo che osserviamo nella natura non ha alcuna esistenza separata. È solo un modo di essere degli oggetti concreti. Noi stessi creiamo il tempo matematico. È una costruzione mentale, un’astrazione indispensabile per l’edificazione della scienza. Alexis Carrel, Man the Unknown.
Universalità.
L’esperienza dell’universalità e talmente onnicomprensiva che sono trascese tutte le limitazioni di tempo e di spazio, e con loro l’illusione della sostanzialità del mondo empirico e dell’egoismo separativo. È la realtà ultima del proprio essere, attraverso la meditazione creativa, in cui tutto il pensiero razionale e il ragionamento sono spazzati via nella straordinaria visione della vera natura della Mente che abbraccia sia l’individuo sia l’universo. Perciò dobbiamo sostituire la conoscenza con l’esperienza diretta, l’erudizione con l’intuizione. Un tale accostamento richiede una dedizione e un abbandono di tutto il proprio essere senza riserve, senza trattenere nulla cui l’ego possa aggrapparsi. È come giocare, sul piano spirituale, un gioco nel quale si può vincere o perdere tutto. Bisogna inoltre evitare associazioni mentali, per rimanere in uno stato di contemplazione pura, vedendo le cose come se si percepissero per la prima volta, senza pregiudizio, libero da simpatie e antipatie.
Allora ogni cosa si trasformerà in qualcosa di meraviglioso e diventerà una porta verso il grande mistero della vita, dietro il quale si cela la ricchezza dell’intero universo, insieme con il Grande Vuoto, che rende possibile questa pienezza. Non appena riusciamo a far cessare l’inquieta attività dell’intelletto e a dare un’opportunità all’intuizione, il puro spirito che tutto comprende e che è in noi si manifesterà.
La realtà è di là degli opposti, tuttavia, non deve essere separata o astratta dai suoi esponenti; la temporaneità non deve essere distinta dall’eternità; però la nostra vera natura non è il nostro ego immaginario, limitato; essa è vasta, onnicomprensiva e intangibile come uno spazio vuoto.
Continua nella parte sessantesima
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