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PARTE CENTOSETTESIMA
Il primo metodo di lavoro di Amnesty International per cercare di ottenere la liberazione dei prigionieri fu l’invio di lettere direttamente alle autorità di governo, e tale sistema è ancora oggi il motore dell’organizzazione. Ma questa tecnica si è evoluta nel tempo, adattandosi a sempre più nuove necessità: in casi di emergenza in cui la tempestività di un intervento può essere decisiva, quando ad esempio sta per essere eseguita un condanna a morte, in sole 24 ore i soci di Amnesty riescono a spedire migliaia di telex o fax chiedendo che sia risparmiata la vita del prigioniero. Quando un prigioniero ha bisogno di immediate cure mediche, vengono invitati a spedire appelli urgenti i medici e gli esperti legali.
Molti prigionieri ci hanno detto che questo modo di lavorare direttamente sui loro casi ha fatto, come si dice, la differenza: da quando sono arrivate le lettere in loro favore, sono stati trattati in modo più umano o addirittura subito liberati. Altri ancora hanno detto che il solo fatto di sapere che qualcuno si stava occupando di loro li faceva sentire ancora vivi e ancora in contatto col mondo esterno.
I soci di A.I. sono coinvolti su più fronti allo stesso tempo: fanno pressione sul proprio Governo e sulle Ambasciate di altri paesi; cercano di ottenere la solidarietà e l’impegno di categorie particolari gli agenti di polizia, i sindacalisti, gli insegnanti, per esempio — che possano spingere i loro colleghi di altri paesi ad agire a loro volta.
Ma far sapere alla gente, oltre che ai Governi, quanto i diritti umani sono violati al giorno d’oggi, è un altro punto cruciale nel lavoro di A.I. Attraverso petizioni, cortei, manifestazioni, concerti ed altre iniziative, essi cercano di coinvolgere il pubblico sulla sorte dei singoli prigionieri, sulla situazione dei diritti umani in un particolare paese o più in generale su quanto sia importante difendere i diritti umani.
Due anni fa, per esempio, A.I. ha pubblicato un lungo Rapporto sulla pena di morte ed ha lanciato una campagna mondiale per la sua abolizione. Uno degli scopi di questa iniziativa è stato proprio quello di modificare le convinzioni dell’opinione pubblica sull’efficacia, la deterrenza e la moralità di questa pena giacché i Governi per giustificare la vigenza di questa sanzione fanno riferimento proprio ai desideri dell’opinione pubblica, per esempio, sono state organizzate molte conferenze dove la madre di una vittima di omicidio, lei stessa decisa abolizionista, ha invitato il pubblico presente ad opporsi alla pena di morte. Oppure, in altri paesi, sono state raccolte decine di migliaia di firme contro la pena di morte, poi consegnate alle ambasciate dei paesi con i più alti tassi di esecuzione. Ancora, nel corso di questi anni, i soci medici hanno cercato di convincere i loro colleghi ad opporsi alla pena di morte: l’Associazione medica mondiale, per esempio, ha recentemente dichiarato che partecipare ad una esecuzione è un gesto immorale.
Mentre le questioni di cui si occupa sono evidentemente politiche, A.I. non è assolutamente partigiana. Dall’inizio infatti abbiamo sempre sostenuto che i diritti umani sono al di sopra della contesa politica, e che noi stessi dobbiamo essere al di sopra delle parti se vogliamo che la nostra azione sia efficace.
Le ricerche condotte da A.I. sono basate su continui riscontri e verifiche, per essere certi che le informazioni rese pubbliche siano corrette. I ricercatori si basano su tutta una serie di fonti, spesso di opposta posizione politica: tutti i più grossi Rapporti passano attraverso vari livelli di verifica e di approvazione prima di essere resi pubblici. Ed il denaro che rende possibile questo lavoro di ricerca e la stessa azione, proviene dai nostri soci, poiché nessuna donazione governativa viene accettata né tanto meno richiesta.
I Paesi che ancora ritengono che la pressione internazionale esercitata in nome della difesa dei diritti umani rappresenti una forma di ingerenza nei propri affari interni, come ad esempio la Cina dopo i fatti della Tian—am~—Men, sono sempre più isolati all’interno della comunità internazionale. I torturatori non possono continuare a massacrare le proprie vittime fidando nel fatto che le loro gesta rimarranno sconosciute al di là del muro della prigione. I Governi violatori oggi devono avere paura della pubblicità che le loro azioni ricevono a livello internazionale, e dell’alto prezzo che devono pagare non solo in termini di prestigio e reputazione ma anche nelle relazioni politiche internazionali.
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