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INSEGNAMENTI PARTE VENTINOVESIMA


 

 

INSEGNAMENTI
PARTE VENTINOVESIMA

 

Paradosso divino

       Astenersi dall’avarizia mentale ed essere contenti in qualunque circostanza, ma anche acquisire la virtù della scontentezza divina.

La serenità e la gioia affiorano se saremo “indifferenti” al sarcasmo, alle noie, alle delusioni quotidiane, alle contrarietà, alle mancanze di riguardo, all’orgoglio ferito, all’insulto non meritato, alla critica malevola, alle osservazioni scortesi, tutto questo senza indurire l’anima, anche se la crescente sensibilità fa sentire più acutamente il dolore che è inflitto dalla vita stessa.

I paradossi sono sempre apparenti, perché ogni argomento può esse­re trattato da almeno due punti di vista, entrambi buoni, tutte le affermazioni di verità sono parziali. Ogni frammento di verità e una verità incompleta. Ogni affermazione di verità deve essere necessariamente paradossale, perché ogni cosa “è e non è”. Il nostro punto di vista, essendo limitato, ci permette di vedere un solo lato alla volta di un qualsiasi oggetto. Tutti i lati sono visibili nello stes­so tempo e nello stesso istante solo dal punto di vista dell’infinito, perciò solo chi ha raggiunto la più alta perfezione spirituale può scorgere contemporaneamente tutti i punti del globo e vederlo in tut­te le sue parti.

Per comprendere un paradosso, la chiave sta nel saper distinguere tra il punto di vista relativo o inferiore e quello assoluto o superiore.

La contentezza è il riconoscimento dell’attuale stato di cose, ­l’opportunità (come punto di partenza) che si presenta, e il lasciare che esse costituiscano la base di ogni altro progresso o conseguimento. La contentezza sopravviene quando ci si accontenta del proprio stato, si accetta il proprio Dharma, si assume il distacco dell’Osservatore, si applica l’innocuità in tutte le circostanze e si usa la forza in modo appropriato. Quest’appagamento e il riconoscimento del proprio karma , induce uno stato di quiete mentale che permette di accettare qualsiasi con­dizione, perché appare la più adatta e la più giusta.

Dobbiamo compiere il nostro dovere tranquillamente e serenamente, anche se in prima fila, poiché mettendoci al di sopra di esso, si scopre ciò che la vita è in realtà: un puerile gioco di uomini e donne che sono ancora bambini. Partecipiamo pure al gioco, recitando bene la nostra parte, ma osservandola con un sorriso.

Dobbiamo giungere alla coscienza “dell’io sono” e “Quello sono io”, che ci pone sopra le sofferenze causate dalla personalità  nella coscienza  della propria anima, qualsiasi cosa ci farà sorridere senza esserne minimamente turbati, riconoscendo tutto ciò che appartiene a un livello materiale, non permetteremo mai all’anima di scendere a un livello inferiore a essa.

Coloro che non comprendono non sono biasimevoli, se oggi agiscono come bambini, domani anch’essi proveranno i dolori dello sviluppo spirituale, e non dobbiamo dimenticare che un tempo eravamo come loro, perciò, se saremo amorevolmente comprensivi, la contentezza sarà in noi.

Chi parla e agisce in modo bonario e affettuoso, senza atteggiamenti di superiorità, ma con simpatia, con comprensione ed è desideroso di giovare ai propri simili, è un uomo progredito e ha la gioia nel cuore, perché non possiede nessun senso di separatività .

Ogni “figliol prodigo” anela il ritorno a casa. La scontentezza divina è quel desiderio inconscio che affiora ogni qualvolta, si è consapevoli che la vita conscia è solo una necessità apparente ma necessaria per acquisire esperienze, ma la vera vita è la Realtà della nostra vera casa comune, la Monade  o Spirito.



 


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