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SESSANTA

 

SERVIZIO
PARTE SESSANTESIMA

Meditazione
            Quando parliamo di “spaziotempo”, abbiamo già raggiunto una dimensione superiore, cioè un tipo di spazio che non può più essere sentito con il corpo o con i sensi, ma solo come una possibilità di movimento in una direzione completamente diversa. Infatti, nella meditazione abbiamo a che fare con una dimensione di fronte alla quale la nostra terza dimensione serve solo come similitudine o come punto di partenza. In quest’esperienza spaziale, la successione temporale è trasformata in una simultanea coesistenza, l’esistenza parallela delle cose in stato di reciproca interpretazione, e anche questo non rimane statico, ma diventa un continuum vivente in cui tempo e spazio sono integrati in quell’unità “puntiforme” definitiva e incommensurabile chiamata col nome di Bindu (punto, puntino, goccia, germe, seme, semenza, ecc.). Esso indica il punto di partenza concentrante nel dispiegarsi dello “spazio interiore” nella meditazione, ma anche il punto ultimo dell’integrazione definitiva. È il punto in cui hanno origine lo spazio interiore e quello esterno e in cui essi tornano a essere Uno. 

            Se è vero il detto indiano, che “il corpo è lo strumento fornito per l’adempimento della giusta legge della nostra natura, ogni ripugnanza finale per la vita fisica sarebbe un allontanamento dalla pienezza della divina Saggezza e una rinuncia al suo fine come manifestazione terrena”. Non può quindi essere integrale un discepolo che ignori il corpo o che lo renda indispensabile per una perfetta spiritualità il suo annullamento o il suo rifiuto. 

Morte e Immortalità.

            “Il per vivere deve sottostare a un continuo mutamento e sviluppo formale, che potrebbe essere definito come una morte e una vita continua che procedono contemporaneamente”. “È veramente andare incontro alla morte quando ci rifiutiamo di accettarla; quando vogliamo attribuire alla forma del sé una certa fissa immutabilità; quando il sé non sente alcun impulso che lo induca a crescere al di fuori di sé; quando considera i suoi limiti come definitivi, e agisce di conseguenza”. Tagore.  

            Pertanto la trasformazione comprende sia il mutamento sia la stabilità, la pluralità e l’unità, il movimento e la stasi. Ha la natura della vita, cioè di connettere in modo organico gli opposti polari, gli sconcertanti ostacoli della logica, e unirli in un ritmo onnicomprensivo.

            Ritmo e direzione rappresentano la stabilità del movimento - un movimento che non segue una linea retta (il che avviene solo in matematica, cioè nel pensiero astratto, ma non nella vita). Perciò la logica razionale è diversa da quella della vita. 

            Si richiede un alto grado d’intuizione per sperimentare l’eterno nelle sue forme impermanenti, per vedere l’armonia atemporale nella transitorietà dei fenomeni, per sentire il ritmo infinito che pervade anche la più insignificante espressione della vita. Se potessimo vedere il quadro completo, la totalità e la pienezza dei rapporti, saremo in grado di vedere le cose e gli esseri nella loro giusta prospettiva. Il mutamento o movimento – che fino a quel momento si poteva concepire soltanto sotto l’aspetto negativo d’impermanenza (come principio di distruzione) – rivelerebbe una coerenza di ritmo, una stabilità di direzione e una continuità di sviluppo organico e di dispiegamento spirituale che potrebbero restituire al mondo e alla vita un ordine di permanenza e di valore più alto di quelli mai concepiti da astrazioni e speculazioni intellettuali. 

            Accettiamo l’unità spaziale di un oggetto, benché esso si estenda in diverse dimensioni, aspetti e proporzioni, ma dubitiamo di una simile unità se si estende nel tempo (il quale è semplicemente un’altra dimensione), in cui essa mostra diversi aspetti e proprietà, che si sviluppano in conformità con la sua intrinseca natura. Il nostro intelletto comprende lentamente questa verità ultima delle cose, laboriosamente e poco alla volta. Non vede che un oggetto (e un suo aspetto) alla volta, e così produce sempre una sensazione d’incompletezza e di limitazione; ma abbiamo degli occasionali momenti d’intuizione quando qualcosa offerto dall’immaginazione sembrerà, per carattere proprio o per un nostro stato d’animo elevato, un universo in miniatura perfetto e perfettamente conchiuso.           

            Questo può essere sperimentato nei momenti maggiormente creativi, in virtù del completo distacco interiore e della mutua prospettiva spirituale. In questi momenti il mondo impermanente scompare, perché s’è trovata l’armonia centrale e non si può più smarrire il concetto di totalità in quello d’individuo. 

            Ciò che chiamiamo morte non è un’esperienza diretta ma soltanto un’idea dedotta dall’osservazione di avvenimenti esterni, la vittoria sulla morte dipende da quella sull’idea. 

            Il problema dell’immortalità o della vittoria sulla morte, non è oggettivo ma puramente soggettivo e quindi può essere risolto solo con l’esperienza diretta interiore. Dal punto di vista soggettivo possiamo parlare solo della cessazione di funzioni corporee e del decadimento degli organi fisici che le hanno rese possibili. 

            Riconoscendo l’illusorietà di un Ego separato e resistente al mutamento e accettando la legge della trasformazione come natura stessa della vita e della crescita spirituale, distruggeremo la congettura sulla quale si basa l’idea della morte. Ciò non significa l’annullamento dell’individualità o della continuità individuale. Al contrario, è proprio l’eliminazione di questa ostacolante e limitante illusione che ci rende possibile vedere oltre i limiti dell’ego temporaneo e riconoscere le connessioni con precedenti e future forme di vita. 

            L’immortalità e i suoi opposti non sono fatti naturali, ma dipendono da noi. L’immortalità non significa mantenere lo status quo, né la mortalità significa annullamento di tutto ciò che a fatto sì che corpo e mente esistessero. L’immortalità non è un dono della natura o di un Dio: deve essere conquistata. 

            Chi non ha trovato il proprio autentico centro interiore e la connessione con il fondamento universale e atemporale del suo essere più profondo, è veramente preda della transitorietà e si priva dell’immortalità. Infatti, l’immortalità non consiste nella conservazione della personalità limitata, ma nella consapevolezza di quel grande flusso di realtà nel quale la vita presente è solo un attimo fuggente. In questa conoscenza risiede la liberazione della morte che conduce all’esperienza e alla realizzazione dell’immortalità. 

 


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