LA COSCIENZA
Carlo Setzu
Terza parte di sette
Emozione
L’azione dell’intelletto sul desiderio da origine all’emozione. Nella sua manifestazione l’emozione sembra così differente dal desiderio da velare la loro fondamentale identità, l’una è, infatti, una forma elaborata dell’altro, poiché in quella si trova un numero di elementi intellettuali, che in questo mancano o sono meno palesi.
Nel sesso, per esempio, si trova desiderio in una delle più semplice forme; cibo ed unione sensoriale sono i due desideri fondamentali di ogni essere vivente- il primo per mantenere la vita, il secondo per accrescerla. In entrambi si prova il senso di “espansione” (piacere). Il desiderio di cibo rimane un desiderio; il cibo viene appropriato, assimilato, perde la sua identità separata, viene a far parte dell’ “Io”. Non v’è la continuità di relazione fra chi mangia e il cibo, necessaria allo sviluppo dell’emozione. Capita diversamente nella relazione sessuale, che tende a farsi sempre più permanente con l’evoluzione dell’individualità. Il desiderio sessuale è altrettanto semplice come quella del cibo; ma non può essere soddisfatto nella stessa proporzione perché nessuno dei partners può completamente appropriarsi ed assimilare l’altro, ognuno mantiene fino ad un certo punto la propria identità separata, e solo parzialmente si confonde con l’altro. È necessaria la costante presenza di questa barriera, per il trasformarsi di un desiderio in emozione. Ciò rende possibile il legame di memoria ed anticipazione verso lo stesso oggetto, se ciò venisse a mancare, tanto il desiderio quanto l’emozione svanirebbero.
La persistente attrazione verso l’altro, dovuta alla memoria ed alla anticipazione, trasforma il desiderio in emozione, la passione in amore, e la simpatia e la compassione ne sono le prime manifestazioni. Queste a loro volta la conducono a sacrificarsi per l’altra, a vegliarla invece di dominarla, a lavorare per lei invece di riposare. Tale attitudine spontanea dell’emozione d’amore in lui si affermeranno più tardi quali virtù, cioè, diventeranno attitudini permanenti del suo carattere, che si manifesteranno in risposta ad appelli d’aiuto verso tutte le persone con cui egli verrà in contatto, gli siano attraenti o no.
L’emozione che in sua natura è attrazione, attirando gli oggetti fra loro per mezzo del piacere, che è energia integrante nell’universo, viene chiamata Amore. L’emozione che in sua natura è repulsione, respingendo gli oggetti fra loro, per mezzo del dolore, che è energia disintegrante nell’universo, viene chiamata odio. Questi sono due tronchi della radice del desiderio, ed ogni ramo d’emozione può venir ricollegato ad uno di questi due. Amore e odio sono gli aspetti, elaborati e misti a pensiero, del semplice desiderio di possedere o di evitare. Benevolenza, desiderio di reciproco aiuto e rispetto, sono le tre principali divisioni dell’emozione d’amore poiché tutte le relazioni umane cadono sotto le tre classi: relazioni da superiore ad inferiore, da pari a pari e da inferiore a superiore.
D’altra parte l’odio è caratterizzato in tutte le manifestazioni dell’antipatia, dalla prepotenza di desiderio di prendere, tali sono i suoi fattori essenziali, sia come disprezzo sia come desiderio di reciproca offesa, sia come paura. Tutti questi corrispondono direttamente alla repulsione, separando l’uno dall’altro. L’odio è perciò della materia, accentua la molteplicità e le differenze sono essenzialmente separatività, appartiene all’oggetto forma dell’universo.
Uno stato permanente di un’emozione d’amore diretta verso un essere vivente è una virtù; uno stato permanente di un’emozione d’odio diretto contro un essere vivente è un vizio. La trasformazione si compie per mezzo dell’intelletto, che da all’emozione un carattere permanente, cercando l’armonia in tutte le relazioni, perché ne risulti felicità. Ciò che nella famiglia conduce all’armonia e quindi alla felicità, sorgendo spontaneamente dall’amore, se praticato verso tutti, in ogni relazione della vita, è virtù. La virtù nasce dall’amore e genera felicità. Così pure ciò che nella famiglia conduce alla discordia e quindi all’infelicità, sorgendo spontaneamente dall’odio, se praticato verso tutti, in ogni relazione della vita, è vizio.
Quando l’emozione d’amore è cattiva nella sua esplicazione, ciò dipende da vizi che vi si frammischiano nel suo esplicarsi e non dall’emozione d’amore in sé.
Quando l’intelletto studia il mondo, vi vede le innumerevoli relazioni ed osserva come quelle armoniose generino felicità e quelle discordanti dolore; allora si mette al lavoro per scoprire il mezzo di stabilire l’armonia universale quindi la felicità. Esso scopre, inoltre, che il mondo sta procedendo su di un sentiero che è costretto a seguire, il sentiero dell’evoluzione, scopre la legge di questa evoluzione. Quando un’unità si schiera da parte della legge che regge tutto cui esso appartiene, gliene deriva pace, armonia e quindi felicità; mentre, se si schiera contro quella legge, ne ottiene attrito, discordia e quindi infelicità. Perciò bene è ciò che, essendo in armonia con la grande legge, porta felicità; è male ciò che essendo in contrasto con la grande legge, produce infelicità. Quando l’intelletto, illuminato dallo spirito, vede la natura quale espressione del Pensiero divino, la legge d’evoluzione quale espressione della Volontà divina, la meta quale espressione della Beatitudine divina, allora si può sostituire l’armonia con la legge dell’evoluzione, l’armonia con la Volontà di Dio e la moralità viene a fondersi con la religione.
Questa verità viene spesso velata dal fatto che la pratica di una virtù produce in certi casi dolore. Ciò è vero ma il dolore è temporaneo e superficiale e viene largamente compensato dalla felicità interna, prodotta da condotta virtuosa e, inoltre, non è dovuta alla virtù ma alle circostanze che si oppongono alla sua pratica, all’attrito fra l’individuo virtuoso e l’ambiente viziato. Null’altro che la rettitudine può condurre alla felicità, anche se l’uomo retto può temporaneamente soffrire.
Nessuna relazione può stabilirsi fra esseri umani, che non comporti reciproci obblighi o doveri. L’amore cerca sempre di aiutare e benedire non ha bisogno che le si dica “devi o non devi”. La ragione retta trasforma le azioni spontanee dell’amore in obblighi permanenti o doveri e l’emozione d’amore diventa elemento permanente nella condotta: si chiama virtù. Egli è mosso da emozioni rese permanenti dall’intelletto il quale riconosce che la felicità dipende dallo stabilire ovunque relazioni armoniche. L’amore, ragionato e reso permanente dall’intelletto è virtù.
Lo stato permanente di un’emozione d’odio è un vizio. Un individuo dalle passioni indomate è poco evoluto di carattere, viene alle mani; questa è un’espressione d’odio spontanea. Ciò gli capita spesso, e diventa in lui un’abitudine, quand’è in collera. Egli infligge dolore e vi gode. Si sviluppa il vizio della crudeltà, e, se incontra una persona più debole di lui, dà sfogo alla crudeltà per il semplice fatto di essere venuto in relazione con quella persona. Così l’emozione di odio diretta e affermata dalla ragione pervertita e ignorante è vizio.
Il più rapido modo di rafforzare le virtù è di eliminare i vizi, ossia agire direttamente sul lato emozionale del carattere. Lo sviluppo dell’emozione d’amore è il modo più efficace per sviluppare il carattere morale, poiché le virtù sono le gemme e i frutti che nascono dalla radice dell’amore.
L’amore è la forza costruttrice dell’universo. L’amore con l’esercizio si rafforza, va sempre più estendendosi fino ad abbracciare tutti gli esseri senzienti.
“Un uomo dovrebbe cercare di lavorare per un bene pubblico della comunità con la stessa energia e con lo stesso interesse con cui lavora per la sua famiglia. Così sorge la grande virtù dello spirito pubblico. Più tardi egli darà amore e lavoro per l’umanità e finalmente il suo amore abbraccerà tutti gli esseri senzienti; ed egli diventerà amico di ogni creatura.”
Anche l’odio ha la sua utilità, anzi esso allontana tutti gli elementi incompatibili che non possono accordarsi insieme, evitando così attriti continui. Per quanto concerne persone incompatibili e poco evolute è meglio per loro venir allontanate affinché ognuna segua il proprio sentiero d’evoluzione, anziché essere trattenute insieme, così da suscitare l’una nell’altra emozioni sempre peggiori. In secondo luogo, la repulsione che un’anima comune prova per una persona cattiva è un bene perché la preserva dal cadere sotto quell’influenza. Il disprezzo verso il bugiardo, l’ipocrita, il crudele è un’emozione utile per chi la prova e anche per chi la suscita; poiché tende ad evitare al primo di cadere in simili vizi e tende a risvegliare nella persona disprezzata un senso di vergogna. Ben presto, a misura che essa evolva, farà distinguere fra il male e chi lo commette e compatirà quest’ultimo, limitando la sua avversione al male stesso. Più tardi, forte di questa virtù, non odierà più chi commette il male né il male stesso, ma riconoscerà serenamente uno stadio inferiore d’evoluzione, dal quale si sforzerà di sollevare il suo fratello minore con mezzi appropriati.
Quando sentiamo in noi repulsione per una persona, possiamo essere sicuri d’avere in noi qualche leggera traccia di ciò che in lei ci urta, perché quando l’Ego scorge pericolo ne ritrae i suoi veicoli.
Raggiunta la perfezione verremo ad amare il peccatore come il santo e forse anche a dimostrarle più amore, poiché il santo non ha bisogno d’aiuto, mentre il peccatore se non amato può cadere.
Quando l’uomo si è elevato al punto di non odiare né peccatore né peccato, allora la forza disintegrante - che fra gli uomini è odio - diventa una semplice energia atta a distruggere gli ostacoli che ingombrano il sentiero. Il sentirsi diverso dagli altri è la “grande eresia”, poiché la separatività è in opposizione alla legge per cui tutto evolve tendendo all’unità.
Il discepolo non frappone barriere fra sé ed il peccatore, ma abbatte qualsiasi barriera eretta da quest’ultimo e dovrebbe, nella sua vita giornaliera, cercare di praticarlo, sia pure imperfettamente. Trattando con le persone meno avanzate, dovrebbe sempre cercare di eliminare la parete divisoria poiché il sentimento di separatività è subdolo e perdura finché non abbiamo raggiunto lo stato del Cristo. Possiamo però con lo sforzo diminuirlo gradualmente e tentare di identificarci con gli inferiori, esercitare quell’energia costruttrice che tiene uniti i mondi e diventare canali dell’Amore divino.
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