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IL DISTACCO

 

Carlo Setzu

 

 

            Il distacco è la coscienza di essere “padrone” sperimentata da chi si è liberato dalla sete per qualunque oggetto veduto o rivelato. Il distacco è uno stato di osservazione impersonale, mediante il quale l’uomo impara a ritrarre l’interesse e la coscienza dalle cose dei sensi e dai richiami della natura inferiore. Egli assume sempre più la coscienza dell'anima.

 

Il distacco è ciò che finisce per indurre le percezioni dei sensi a compiere le loro debite funzioni. Col distacco, le forme di conoscenza che l’uomo percepisce mediante i sensi perdono la presa che hanno su di lui; col tempo egli sarà liberato, e padrone dei propri sensi e dei loro contatti. Ciò non implica che essi siano atrofizzati o inservibili, bensì uno stato in cui sono utilizzati dallo Yogi, quando come e fino a che lo voglia; egli li adopera per accrescere la sua efficacia nel servizio e nel lavoro comune.

 

            La discriminazione è basata sulla realizzazione della dualità essenziale della natura, considerata come generata dall’unione dei due poli dell’Assoluto – spirito e materia – è un atteggiamento mentale da coltivare assiduamente.

 

L’aspirante assume l’attitudine del polo superiore (lo spirito che si manifesta come anima o guida interiore) e negli eventi quotidiani discrimina tra forma e vita, fra corpo e anima, fra manifestazione inferiore (fisica, emotiva e mentale) e reale, che ne è la causa. Nella vita di ogni giorno coltiva la coscienza del Reale e nega l’irreale, in tutti i suoi rapporti e attività. Con pratica costante e ininterrotta si abitua a discriminare tra Sé e non sé e a volgersi allo spirito anziché a maya, o mondo delle forme.

 

Tale distinzione è dapprima teorica, poi intellettuale, ma acquista presto realtà e si estende agli eventi emotivi e fisici. Infine il metodo conduce in una dimensione assolutamente nuova, a identificarsi con la Vita e un piano di esistenza che non appartengono ai tre mondi della vita ordinaria. Il nuovo ambiente diviene allora familiare, tanto che si conosce non solo la forma, ma anche la Realtà interiore che la produce.

 

La spassionatezza riguarda l’atteggiamento dell’uomo verso la vita, gli eventi e le circostanze, e il totale controllo delle sue reazioni di fronte a essi. La spassionatezza é l’accettazione della volontà di Dio e la capacità di accettare, con comprensione, le circostanze della vita.

 

Quasi sempre la volontà umana, che é quella del sé inferiore, é in contrasto con la Volontà di Dio, che é espressa dall’Anima o Sé superiore, perché noi, immersi nel mondo dell’illusione, dell’irreale, ci creiamo dei fini errati, desideriamo cose che non sempre sono in armonia con la legge di evoluzione, vogliamo la felicità terrena, le soddisfazioni personali, invece di rivolgerci  al vero scopo della vita:  la realizzazione del Sé spirituale.

 

 L’Anima é costretta a esprimersi per mezzo di cenni, di indicazioni velate, attraverso le circostanze della nostra vita, e le persone che incontriamo sul nostro cammino. Potremmo dire che ogni evento é in realtà un simbolo della volontà dell’Anima.

 

Accettazione vuol dire accogliere ogni avvenimento e ogni prova, come un’espressione simbolica e velata, della Volontà Superiore che é sempre giusta e benefica, anche se non sappiamo riconoscerlo.

 

La parola è energia. Non dobbiamo sperperare inutilmente questa energia. Spesso accade che dopo una giornata in cui abbiamo parlato per molto tempo ci sentiamo come svuotati, devitalizzati, stanchi mentre dopo aver trascorso una giornata in silenzio e in solitudine ci sentiamo ritemprati e rinvigoriti. Questo é un fatto reale e non un’illusione. Più si progredisce nella vita interiore meno si parla, poiché’ si sente non solo la responsabilità di quello che si dice, ma anche l’importanza e il valore del silenzio.

 

Un tempo il neofita era costretto a osservare un lungo periodo di silenzio. La parola non gli era concessa. Ciò per inculcargli di non pronunciare parole e idee scorrette, frutto di conoscenza incompleta. Oggi il neofita deve imparare la stessa lezione di badare al suo perfezionamento ed al suo lavoro mediante quel silenzio interiore che lo sovrasta, costringendolo ad attendere alle sue mansioni lasciando liberi gli altri di fare lo stesso, e quindi imparare dall’esperienza. 

 

Oggi come non mai l’umanità nel suo insieme ha bisogno di silenzio, di tempo per riflettere e percepire il ritmo universale. Ai discepoli moderni, se vogliono cooperare correttamente con il Piano, occorre quella quiete riflessiva che non esclude affatto l’attività esterna, ma che libera dal criticismo verbale e dalle discussioni febbrili.

 

Desiderio é un termine che designa la tendenza estrovertita dello spirito per la vita della forma. Il desiderio e’ attaccamento agli oggetti di piacere. Questi sono tutti i legami che l’uomo si crea dallo stato selvaggio e primitivo, fino ai gradi avanzati del discepolato; si riferiscono tanto al desiderio di oggetti materiali quanto all’attaccamento, alle occupazioni e alle reazioni prodotte dalle emozioni e dalle attività intellettuali; comprendono tutte le gradazioni delle esperienze sensoriali, dalla reazione al calore e al cibo del selvaggio, ai rapimenti del mistico.

 

Per quanto differisca di grado, tutto ciò é attaccamento, e sembra che il progresso dell’anima stia in questo passare da un oggetto all’altro, fino a che giunge l’ora in cui l’uomo è respinto su se stesso e si trova solo. Ha esaurito tutte le possibilità di attaccamento e anche il maestro sembra averlo abbandonato. Rimane una realtà sola, la realtà spirituale che è egli stesso, e il desiderio si volge quindi all’interno. Non si esterna più e l’uomo scopre il regno di Dio entro se stesso. Sperimenta ancora e continua a manifestarsi attivamente nei mondi dell’illusione, ma opera dal centro ove dimora il Sé divino, somma di ogni desiderio, e nulla più lo attira sulle vie traverse del  piacere e del dolore.

 

 

 

 

 

 

 

 

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