Retto agire – dharma
La parola dharma significa virtù, dovere, legge, rettitudine, ecc.; c’è una frase però che la definisce più chiaramente : “ retta azione”. Il dharma è quindi la “regola di azione e di vita che meglio si adatta alle necessità dell’Anima individuale e che meglio aiuta quella particolare anima nell’ulteriore passo del suo sviluppo”.
Perciò, parlare di dharma di un uomo vuol dire riferirsi al tipo di azione più elevato per lui, considerando il suo sviluppo e le immediate necessità della sua anima.
L’anima è sempre in pieno sviluppo, in continua evoluzione; ciò risulta evidente dagli ideali superiori di pensiero e di condotta, e del cambiamento dei concetti morali. Studiando in profondità la teoria del dharma, ci rendiamo conto che il concetto di moralità è relativo; questo ci impedirà di condannare i nostri fratelli meno evoluti, i quali hanno una condotta più semplice della nostra. Sebbene lo sviluppo induca l’anima a ripudiare molte vecchie forme e antichi ideali, in passato considerati perfetti, tanto più elevato sarà il grado di sviluppo, quanto più alto sarà l’ideale di condotta e di moralità.
Oltre alla “voce della coscienza” esiste in noi una guida per le azioni della vita quotidiana, in cui non esiste un problema di “bene” o di “male”. Questa manifestazione la chiamiamo “intuizione”. La filosofia del dharma ci offre una spiegazione; essa poggia sui tre sostegni della coscienza : Intuizione, Rivelazione e Utilità, i quali rappresentano rispettivamente la voce del Signore, la voce delle facoltà intuitive dell’uomo e la voce della ragione umana.
Dobbiamo sempre tenere presente, però, la relatività del bene e del male; in effetti, possiamo renderci conto come una cosa che un tempo era “giusta”, possa diventare “sbagliata” e ciò che sembra oggi “buono” e “retto” possa apparire nel futuro cattivo e sbagliato. L’errore dipende sempre dal nostro punto di vista relativo; il bene e male, il buono e cattivo sono di fatti soltanto termini relativi; non esistono cose cattive, dal punto di vista dell’Assoluto.
Molte intuizioni giungono a noi nella mente spirituale che non “pensa” ma “conosce”. La mente spirituale, se noi glielo permettiamo, è sempre pronta ad aiutarci e a guidarci, ci offre sempre il meglio che noi siamo in grado di ricevere.
La coscienza si interessa ai problemi mentali del bene e del male; invece l’intuizione, indipendentemente dai problemi etici e morali, si interessa alle azioni essenziali della vita. La coscienza ci consiglia se un determinato agire è conforme alla morale del nostro grado di sviluppo; l’intuizione, per il nostro bene, ci suggerisce un determinato cambiamento.
La coscienza è soltanto uno dei sostegni dell’edificio del dharma, importante ma non infallibile, non l’unico, ma degno di essere preso in seria considerazione. La coscienza ci indica il punto più elevato che noi possiamo percepire e che non è necessariamente un punto di arrivo, bensì una meta temporanea. La coscienza è relativa e fallibile; invece ciò che trascende la coscienza è infallibile e assoluta, è una via attiva è doverosa ed opportuna. Il venirne meno sarebbe come violare la Grande Legge. E’ motivo di felicità parlare delle bellezze e dei vantaggi della retta azione.
La parola karma si usa per lo più per indicare il risultato delle azioni, ma in genere significa fare, agire. Ciò da inizio alla Legge di causa ed effetto nel mondo spirituale: “come le azioni seguono i pensieri, cosi gli effetti delle azioni seguono le azioni stesse. Ma dal momento che le azioni sono generate dai pensieri, il vero effetto delle azioni è l’effetto dei pensieri.”
Oggi siamo quello che siamo perché, nelle nostre vite passate, abbiamo fatto o abbiamo tralasciato di fare determinate cose, ora infatti vediamo soltanto l’effetto delle nostre azioni passate, dei nostri desideri realizzati. Non è detto però che tutte le azioni compiute in passato siano state “cattive”, pertanto a seconda della causa che abbiamo messo in moto, il nostro karma può essere piacevole o spiacevole. Tuttavia allontaniamo l’idea che ciò sia una punizione o un premio, ristabilisce soltanto gli equilibri violati.
Come si può evitare tutto ciò, se si deve agire nel mondo ? Come si può sfuggire agli effetti delle azioni ?
“Prendendo parte al grande “giuoco della vita”, vivendo nelle vicende, ognuno facendo del proprio meglio ma tenendo bene in mente di non attaccarsi ai frutti delle proprie azioni. Lavorare per il lavoro in sé, assolvere ognuno il proprio compito, in piena volontà, lentamente, severamente, senza dimenticare mai che i risultati non hanno reale importanza; sorridere al solo pensiero che queste cose relative possano avere qualche valore per noi.”
Per quanto possa apparire in opposizione con il progresso, questa antica saggezza sembra particolarmente adatta ai bisogni dell’attuale impegnatissimo mondo occidentale. Chi accoglierà questo insegnamento saprà comprendere e lottare, anche vivendo in mezzo al generale tumulto; le loro anime rimarranno distaccate, osservando e vigilando, essi vivranno la stessa vita, faranno le stesse cose dei loro fratelli meno evoluti, ma la loro partecipazione sarà solo apparente; conoscendo la verità, saranno liberi; non correranno il rischio di venire inghiottiti nell’ingranaggio del meccanismo della legge di causalità.
Noi non viviamo per sviluppare la nostra individualità, ma perché l’umanità intera venga aiutata ad ascendere; deve esistere fra gli uomini un rapporto e uno scambio continuo.
L’anima risvegliata, consapevole della vera Realtà delle cose, le affronta “sorridendo”, senza opposizione alcuna, eliminando così ogni sofferenza e ricavandone continui benefici. Riconoscere la Mano Maestra che guida l’uomo e lasciarsi guidare docilmente: questo è il risultato del vivere accettando la filosofia trascendentale.
Dobbiamo sentirci una rotellina nel grande meccanismo ed eseguire il proprio dovere nel migliore dei modi. Soltanto osservando attentamente si può comprendere come queste azioni non sono che la base per grandi futuri cambiamenti umani: la nostra Coscienza della Fraternità.
L’uomo ordinario crede che la felicità dipenda da certe cose e da certe persone, invece l’uomo veramente libero realizza la propria felicità traendola da se stesso e non dall’esterno; il principio del distacco non ci dice di reprimere la gioia, ma anzi di inseguirla fedelmente perchè sarà causa di maggiore gioia in ogni cosa.
Quando uno si rende totalmente libero, diviene padrone di sé, e in sé troverà la sorgente di felicità. Ciò non vuol dire che escludiamo l’Amore da ogni nostra azione, anzi, dovremo amare tutti, ma non egoisticamente.
L’uomo che lavora esclusivamente per denaro, che segue le lancette dell’orologio per non concedere un attimo di più al proprio datore di lavoro, sarà sempre infelice; colui che, pur desiderando un compenso adeguato, ama il proprio lavoro, si interessa ad esso e dimentica quasi di lavorare per denaro e, in tempo stabilito, prende a cuore il suo dovere per se stesso, è un uomo libero. Ogni grande opera è il prodotto di un tale lavoro.
Il mistico pratico è un uomo sul quale l’affidamento sarà totale, qualunque sia l’attività svolta; egli sa che la felicità non dipende da particolari condizioni, ogni situazione si risolverà nel migliore dei modi, perché sa di poggiare su solide basi ed avere dietro di sé il potere dell’Universo.
Il vero servitore, pur trascurando la vanità e le apparenze della vita, si trova provvisto del necessario e il lavoro gli procura un certo benessere materiale. I suoi disegni sono pochi, i suoi gusti semplici, ma egli si attira i mezzi di sussistenza come l’albero che trae vita dal suolo, dall’acqua e dall’aria. Non si affanna per ottenere la felicità, non insegue la ricchezza, ma tutto gli viene dato spontaneamente.
Nessuna cosa, nessuna persona potrà mai soddisfare le aspirazioni dell’anima; le delusioni conseguenti al dipendere da un qualcosa di esteriore recano pena e dolore, mai felicità. Persino l’Amore, il più nobile fra i sentimenti, apporta dolore per chi non è distaccato. L’amore disinteressato, altruistico, non domanda nulla e concede tutto. Il vero amore ripete a se stesso:” Dà, dà, dà…” mentre l’amore non vero, quello materiale o sentimentale chiede:”dammi, dammi, dammi…”. L’amore puro è quello dell’uomo che non si attacca alla personalità dell’essere amato.
“Chi ama la creatura mortale non è più libero, esso si è votato alla morte.” “Per lui la tetra forma sta in agguato ad ogni angolo, ammorbando l’universo.” “Eppure colui che ama deve amare la parte mortale e chi voglia amare perfettamente dovrà essere perfettamente libero.” “Amore – qualunque sentimento eletto – diviene una malattia, se distrugge o diminuisce la libertà dell’anima; quindi, se vuoi amare, devi ritrarti all’amore.” “Fallo tuo schiavo e tutti i miracoli della natura saranno tuoi.” “Non cercare il fine dell’amore in questa o in quella azione, per timore che essa diventi veramente un fine.” “Ma cerca questa e quelle azione e altre ancora, il cui fine è Amore.” “E quando saranno tutte trascorse e andate, ti troverai in possesso di qualcosa di grande e immortale che nessuno ti potrà togliere.”
Nella prima parte della “Luce sul sentiero”, nel primo precetto è detto:”uccidi l’ambizione” e nel quarto precetto:” lavora come quelli che sono ambiziosi”. Questi due precetti spiegano molto chiaramente l’azione senza attaccamento. Il fondamento del Segreto del Lavoro consiste nell’evitare di rimanere presi nel groviglio materiale della vita e nelle illusioni che ingannano continuamente.
Chi meglio di Krishna può dirci come si compie il proprio dovere ?
“Non con l’astenersi dall’azione ottiene l’uomo liberazione dall’attività, né per la sua rinunzia all’azione ottiene la perfezione.
“Ne alcuno, nemmeno per un istante, può rimanere inattivo, poiché tutti, involontariamente, sono costretti dalle energie inerenti alla natura, a compiere una qualche azione.
“Quell’uomo deluso che, pur frenando gli strumenti della carne, continua a pensare agli oggetti dei sensi, agisce come un ipocrita.
“Ma d’altra parte quelli che frenando con la mente i propri sensi, con i suoi poteri mortali si dedica all’azione, senza ricercarne il frutto, è superiore agli altri, o Arjuna.
“Fa ciò che è prescritto, poiché l’attività è migliore dell’inattività, e neppure il sostentamento del corpo sarebbe possibile senza l’attività.
“C’è una ricerca di felicità da portare avanti, che non lega l’anima che ha fede; adempi a questo dovere libero dal desiderio e raggiungerai il tuo fine celeste.”
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